ANNO 14 n° 120
Un viterbese a New York Tutti gli uomini (del) Presidente
>>>>>> di Andrea Bentivegna <<<<<<
08/08/2014 - 02:00

di Andrea Bentivegna

NEW YORK - Washingotn D.C. è una città strana, per certi versi unica, iniziando dal nome: gli americani che abbreviano tutto la chiamano semplicemente D.C. e questo suffisso è importante per due motivi.  In primo luogo, senza, si starebbe parlando dello stato omonimo sulla costa pacifica, in secondo luogo perché conferisce allo città uno status particolare. La capitale infatti non appartiene a nessuno dei 50 stati, è territorio autonomo, e quindi, beati loro, in virtù di questo, non pagano le tasse federali.

La città, sgomberiamo il campo dai dubbi, non è nulla di che. Piuttosto piccola e provinciale paragonata a New York, con edifici esclusivamente amministrativi e memoriali che celebrano i padri della patria.

La White House è piccolina, come tradizione anglosassone, e nemmeno troppo affascinante. Ma mentre l'attualità rimane sullo sfondo, la storia americana in queste strade prende il sopravvento.

I primi presidenti vanno per la maggiore. Washington per primo, comincia tutto da lui, la banconota da 1 dollaro, il nome della capitale, e già questo non mi pare poco, in più è intitolato alla sua memoria l'enorme obelisco bianco che domina la città e che ne è il simbolo.

Washington il primo presidente, Jefferson il terzo, e tra i duel'incarico fu ricoperto da tale John Adams, ma non deve essere stato memorabile, perché viene ignorato da tutti.

Jefferson invece era un figo. Illustre avvocato, appassionato architetto, poliedrico inventore (a lui si deve l'invenzione di una antenata della fotocopiatrice) e poi, visto che gli rimaneva del tempo libero, fondatore degli Stati Uniti d'America e presidente. Niente male. A lui hanno dedicato un memoriale ispirato al Pantheon romano, niente di che, dal punto di vista architettonico, ma geniale dal punto di vista del marketing. L'edificio classicheggiante, completamente rivestito di marmo bianco, ha al suo interno un giftshop nel quale si può acquistare di tutto compresa una deliziosa maschera da Monte Rushmore: se avete tre amici che vi assecondano potrete mascheravi da montagna con i volti dei quattro presidenti scolpiti e andare in giro a braccetto per rendervi ridicoli.

Il Lincoln Memorial, famosissimo, è ben più evocativo, e la statua severa del presidente che abolì la schiavitù domina la piccola sala e incute un certo rispetto, si avverte l'importanza del personaggio.

Celebrati i presidenti si ricordano in questa città anche i personaggi illustri della storia americana e uno di questi è naturalmente Martin Luther King Jr.

Ora, il reverendo King, è uno dei giganti del novecento, e il suo memoriale, ai limiti del kitsch ha comunque una forza evocativa davvero toccante: su una parete di granito sono riportate le frasi più belle e profonde pronunciate da quest'uomo. Vi assicuro davvero bello leggerle.

Ebbene, mentre ero assorto di fronte a questa parete, pensando a quanto importante sia stato quest'uomo per milioni di americani, sento delle urla da spiaggia, mi volto e impallidisco: un bambino, o per meglio dire un demente, stava giocando a pallone contro la parete del monumento. Fermi tutti, c'è di peggio, il bambino era, stranamente, italiano. Ho pensato in un istante ai cori razzisti degli stadi del nostro paese e poi ho realizzato che non c'è speranza. Se le nuove generazioni usano le frasi di Martin Luther King per giocare a pallone ci meritiamo la disfatta, e non solo ai mondiali di calcio.

Il bambino e soprattutto i genitori credo che siano stati prelevati dal Fbi e rinchiusi a Guantanamo, questo è quello che almeno mi sono sono augurato istintivamente, io rimango qui a chiedermi invece se questo smisurato senso della memoria, tipico degli americani, abbia una sua utilità oltre quella calcistica.





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